Comunicazione non violenta
Comunicare in modo non violento è estremamente efficace! Scopriamo il pensiero di Marshall B. Rosenberg
Raggiungere una comunicazione di qualità con se stessi e con gli altri è una missione vera e propria a cui ambire con tutte le nostre forze.
Quando riusciamo ad integrare questa competenza, le nostre relazioni interpersonali cambiano così radicalmente che ci verrebbe quasi di “gridare” al miracolo!
Eppure, imparare a comunicare non ha esattamente a che fare con qualche “concessione divina”, ma riguarda soprattutto prendersi la responsabilità delle proprie emozioni ed esprimerle nel modo più congeniale e soprattutto non violento.
Impossibile?
Marshall B. Rosenberg
Nel suo libro, “Le Parole sono Finestre oppure Muri”, lo psicologo Marshall B. Rosenberg ci rassicura:
“Imparare a comunicare in modo assertivo, non violento, è possibile.”
Basta applicare alcune tecniche specifiche.
Ve ne parlerò in questo articolo, ma prima… voglio condividere con voi la mia esperienza!
Qualche anno fa mi trovavo per lavoro in Sardegna, nello splendido arcipelago di La Maddalena.
In quel tempo mi occupavo di coordinare un piccolo gruppo di artisti nei numerosi eventi teatrali e musicali offerti dal territorio durante l’Estate.
La paga era ottima e la fascia oraria talmente elastica da permettermi di ritagliare moltissimo tempo per fare escursioni e godere di un mare cristallino, da cartolina!
Un Paradiso, vi starete dicendo!
In effetti, era quel che avevo sperato quando avevo accettato il lavoro. Non avrei mai potuto immaginare che l’esperienza si sarebbe rivelata ben più faticosa e antipatica del previsto!
Cosa avrebbe mai potuto minare uno scenario così tanto favorevole?
La risposta a questa domanda non mi fu chiara da subito, solo dopo qualche tempo capii: quel che non mi permetteva di lavorare in modo sereno era la mancanza di una comunicazione di valore.
A pensarci bene, infatti, la situazione non era poi così rosea: il lavoro richiedeva moltissime competenze che io stavo ancora costruendo, i conflitti con il gruppo erano all’ordine del giorno, e per di più avevo l’arduo compito di dover decidere quale “direzione” prendere a livello artistico, quali spettacoli promuovere o quali concerti organizzare e, si sa, mettere d’accordo tante teste non è mai cosa facile.
Ciò che mi toglieva davvero il sonno, però, era il mio rapporto con il “Capo”, una persona molto diversa da me per età, interessi e preferenze e con la quale non riuscivo davvero mai a comunicare senza avvertire un senso di frustrazione enorme.
Ad ogni riunione mi sarei presentata con quella sensazione terribile di un nodo alla gola, senza mai avere la percezione di comunicare le mie idee in modo chiaro e concreto, senza conflitti.
Questo “incubo” comunicativo durò più di due mesi, finché un bel giorno scoppiai in un pianto inconsolabile: sentivo di aver fallito e di non avere le qualità per portare avanti il mio lavoro.
Stavo seriamente pensando di mollare e tornare a Roma quando, in modo quasi provvidenziale, conobbi una donna del posto durante una delle mie escursioni.
Questo incontro unico e mai più ripetuto fu per me di significativa importanza, mi spinse a rimettere in discussione me stessa e il mio operato e ad accogliere la sfida di una nuova modalità di comunicare meglio con chiunque, perfino con il mio capo.
Ma cosa aveva mai potuto dirmi una sconosciuta di così eclatante?
Semplicemente, mi aveva consigliato un libro.
LE PAROLE SONO FINESTRE OPPURE MURI di Marshall B. Rosenberg
Copertina di “Le parole sono finestre oppure muri”
Mi fidai di quella donna e comprai il libro che mi aveva consigliato. Lo lessi tutto d’un fiato, velocemente e, altrettanto velocemente, me ne innamorai.
COMUNICAZIONE ED EMPATIA
Innanzitutto, direbbe lo psicologo autore del libro, la Comunicazione ha a che fare con la nostra capacità di provare “Empatia” nei confronti del nostro interlocutore.
“Empatia”, un termine speciale, importante ed allo stesso tempo assolutamente abusato! Quante volte sentiamo utilizzare questa parola a sproposito?
Rosenberg restituisce al termine il significato più profondo, dandoci lo spunto per iniziare a pensare che una comunicazione realmente efficace è una Comunicazione Non Violenta, che si basa sulla capacità di mettersi nei panni dell’altro per poterne realmente comprendere il messaggio.
Infatti, finché la nostra comunicazione è permeata da giudizi e pregiudizi non è possibile ascoltare l’altro e perfino essere ascoltati, dunque non solo non riusciamo ad accogliere le volontà degli altri, ma diventa impossibile anche affermare le nostre.
Del resto, diciamoci la verità: voi riuscireste a dare attenzione ed ascolto a qualcuno che vi tratta con freddezza e distacco?
Ma cosa intendiamo realmente quando parliamo di Comunicazione Non Violenta (CNV) ?
LE QUATTRO COMPONENTI DELLA CNV
Per CNV si intende un processo comunicativo che viene strutturato su quattro passaggi fondamentali: l’osservazione neutrale della situazione, il riconoscimento dei sentimenti nostri e del nostro interlocutore, la consapevolezza dei nostri bisogni ed infine la formulazione delle nostre richieste.
Secondo Rosenberg, alla base di una comunicazione efficace, anche nelle situazioni di maggior conflitto, c’è l’osservazione neutra di ciò che stiamo vivendo. Ogni buona comunicazione dovrebbe dunque iniziare con la domanda
“Cosa osservo attorno a me? Cosa sta accadendo? Quali parole mi sta dicendo il mio interlocutore?”
Poniamo dunque il caso che qualcuno stia compiendo un’azione che non ci piace, che ci fa sentire a disagio. Per prima cosa, dovremmo essere in grado di osservare con distacco e neutralità l’azione che ci provoca sensazioni negative, riuscendo a non cedere alla tentazione di esprimere un giudizio nei confronti dell’altro.
Dovremmo poi concentrarci sui nostri sentimenti, domandandoci “Cosa sento quando osservo questa situazione/azione?” o “Come mi fanno sentire le parole che l’altra persona mi sta rivolgendo?”
Più che dare spazio a ciò che noi riteniamo giusto o sbagliato, per poter comunicare in modo empatico dobbiamo innanzitutto prenderci la responsabilità delle nostre emozioni e correre il rischio di esprimerle con apertura e fiducia.
La nostra analisi proseguirà con l’affermazione dei bisogni collegati ai sentimenti che abbiamo identificato, “Di cosa ho bisogno per stare meglio in questa situazione?” e con la formulazione, finalmente consapevole, delle nostre richieste, “Cosa posso chiedere al mio interlocutore affinché la mia sensazione cambi da negativa a positiva?”
Ed è dopo esserci posti le domande relative al nostro stato d’animo che entra in gioco l’empatia!
Infatti, solo dopo aver indagato su noi stessi in modo onesto e consapevole ed aver compreso il nostro stato d’animo che saremo pronti a ricevere le medesime informazioni dal nostro interlocutore.
Mantenendo la concentrazione sulle quattro componenti ed aiutando l’altro a fare lo stesso, saremo in grado di creare un flusso comunicativo in cui l’empatia è protagonista indiscussa di una nuova comunicazione non violenta in grado di ottimizzare e valorizzare i nostri scambi.
Le premesse potrebbero non sembrarvi tanto sorprendenti, ma vi assicuro che mettere in pratica alcuni piccoli trucchi di comunicazione non violenta ha il potere di cambiare il senso più profondo dei nostri rapporti e ci consente di dire finalmente addio alla frustrazione legata all’incapacità di affermare i nostri bisogni.
Quali sono le strategie che possiamo attuare per iniziare a comunicare in modo empatico e non violento?
Ecco tre consigli pratici che ho tratto dalla lettura del libro “Le parole sono Finestre oppure Muri”, di Marshall B. Rosenberg.
1) Chiedere anziché Presumere
Moltissimi dei nostri problemi di comunicazione derivano dalla tendenza ad esprimere molto facilmente dei giudizi ben prima di aver compreso realmente quel che l’altro sta cercando di dirci. Come cambierebbe la nostra vita (e quella dei nostri affetti) se, anziché esprimere sentenze su ciò che prova l’altro, presumendone stati d’animo ed emozioni, imparassimo, semplicemente, a chiederglielo?!
2) Paragoni Bye Bye!
Può non sembrarci immediato, eppure anche l’espressione in termini di paragone è una forma di giudizio che può minare profondamente la nostra abilità comunicativa. Infatti, secondo Rosenberg, ogni essere umano è così unico ed irripetibile che non è possibile paragonarlo a nessun altro. Quante volte ci è capitato di sentirci di poco valore dopo esserci paragonati ad un amico che ci sembra più brillante, soddisfatto o realizzato di noi? Quante volte ci è capitato di paragonare il nostro partner ad altri rivolgendogli frasi come “Perché il marito di Tizia le compra i fiori e tu no?”, “Perché la moglie di Caio cucina bene e tu no?”. Il paragone, che sia rivolto verso se stessi o verso altri, nasconde sempre il giudizio ed ha il potere di bloccare qualunque tipo di empatia, non consentendo alla CNV di sbocciare ed arricchire le nostre vite!
3) Richiedere senza Pretendere
Una delle azioni spesso inconsce che compiamo e che bloccano irrimediabilmente la nostra capacità di comunicare in modo empatico è comunicare i propri desideri in forma di pretese. Alla base del modello della CNV c’è infatti la consapevolezza della distinzione tra richieste e pretese. Le prime sono il libero esercizio di un diritto, il tentativo di ottenere dall’altro uno scambio organico che possa arricchire le esperienze di entrambi, le seconde in genere servono soltanto a generare nell’altro frustrazione, rabbia o senso di colpa: tutte reazioni nemiche della comunicazione! Pensandoci bene, preferireste che l’altro accogliesse le vostre richieste perché ha compreso i vostri bisogni o soltanto perché lo avete preteso, magari provocando in lui senso di colpa in caso contrario?
IN CONCLUSIONE
Riuscire a condensare in un solo articolo tutti gli insegnamenti tratti dal libro di cui ho voluto parlarvi non è semplice.
Il tema del comunicare in modo realmente empatico è infatti inesauribile ed è fonte di innumerevoli riflessioni. Un esercizio costante e continuo, da praticare quotidianamente come una vera e propria ginnastica per modificare in modo tangibile tutti quegli schemi di pensiero che portano alla collera anziché all’empatia.
Spero di avervi incuriosito alla lettura del libro di M. B. Rosenberg.