(Non so il nome di questo gatto ma assomiglia tanto al mio)
Quest’immagine l’ho scattata assieme ad un caro amico dentro il carcere di Civitavecchia, ad appena un’ora di macchina da Roma.
Hai presente quella struttura che sembra un fortino medievale davanti al porto di Civitavecchia? Quello è il vecchio carcere della città.
Mi chiamo Matteo Morittu e tra poco naturalmente ti racconterò quali fatti mi hanno portato a varcare le porte di quel carcere.
Prima, però, veniamo ai gattini…
Mai avrei immaginato di trovare un gatto in carcere!
Eppure già 10 anni fa, nel 2015, un carcere a circa 40 km da Indianapolis, negli Stati Uniti, è stato il teatro di un caso mediatico clamoroso a proposito di gatti.
Stiamo parlando del Pendleton Correctional Facility, un carcere di massima sicurezza diventato ormai noto…
Un giorno, a pochi chilometri dal carcere, gli attivisti per i diritti degli animali dell’organizzazione “The Animal Protection League” si trovano un bel grattacapo da affrontare: “Come possiamo salvare le decine e decine di gattini randagi qui in città maltrattati e destinati alla soppressione?”.
Pensa e ripensa… e poi finalmente il lampo di genio.
Se è vero come è vero che prendersi cura di un animale aiuta ad aumentare l’autostima, il benessere e l’equilibro interiore perché non provare ad affidare i mici alle persone detenute nel vicino carcere statale di massima sicurezza?
(Il potere terapeutico degli animali è straordinario)
L’idea del gruppo di attivisti è trarre un duplice beneficio da questo progetto: umani e animali che si riabilitano a vicenda!
Naturalmente tra alcuni attivisti sorgono i primi dubbi: “E se qualcuno dei detenuti dovesse fare del male ad un gattino?”, “Se questo progetto dovesse causare dei problemi nella gestione delle giornate dei detenuti?”, “Se i gatti non riuscissero ad integrarsi nel sistema?”.
I dubbi tra gli attivisti si fanno strada. Ma ormai l’idea ha fatto breccia in loro, il dado è tratto: “Proviamo!”
Per fare in modo che questo progetto funzioni, naturalmente vengono fissate delle regole assieme ai direttori del carcere. Una su tutte: la persona detenuta può prendersi cura di un gatto in carcere a patto che rispetti le regole dell’istituto e che mantenga una condotta ineccepibile.
Questo progetto fin dall’inizio si rivela un grande successo. I detenuti, per poter continuare ad accudire i loro gattini con cure amorevoli, rispettano tutte le regole del carcere e sono molto più collaborativi.
Per 6 ore al giorno, 7 giorni alla settimana, questo gruppo di persone detenute dà e riceve amore dai gatti ospitati in carcere. I detenuti riferiscono che “La cura di questi gatti non viene ritenuta un compito da eseguire ma piuttosto un motivo per alzarsi la mattina!”.
Commovente!
(Risultati straordinari tra le mura del carcere)
Anche il personale del carcere si dimostra divertito nel vedere i gattini in carcere e i benefici riscontrati sono davvero incoraggianti, come ad esempio la maggior collaborazione da parte dei detenuti e i livelli di tensione decisamente inferiori all’interno delle mura carcerarie.
Questo progetto è stato un caso mediatico con una grande eco. Eppure ci sono altri casi molto interessanti, in altri Paesi, che hanno raggiunto risultati insperati grazie all’accudimento degli animali in carcere.
Fantastico! Tu che ne pensi?
Questa però – come avrai intuito – in realtà è una storia agrodolce.
Le belle immagini dei gattini accuditi amorevolmente dalle persone recluse contrastano con l’orrore della detenzione, soprattutto in quei carceri alienanti ed estremamente duri.
Torniamo alla foto del gattino al carcere di Civitavecchia. Perché quella foto?
In realtà quell’immagine è un fotogramma estrapolato da alcune riprese video che ho realizzato nella Casa di reclusione di Civitavecchia.
Ti racconto cosa (o meglio chi) mi ha portato lì.
Anni fa sapevo ben poco di carcere. Poi ho conosciuto un persona con una storia incredibile: Silvio Palermo.
(Silvio Palermo mentre osserva un telaio in controluce prima di stampare)
Negli gli anni ‘70 Silvio entra a far parte della lotta armata perché a suo modo vuole incidere nella società, come tanti altri suoi coetanei in quegli anni. A 20 anni viene arrestato e sconta circa 7 anni di detenzione in varie carceri.
Il suo diventa un percorso di cambiamento profondo e di grande maturazione negli anni di carcere.
Quando termina di scontare la pena, verso la fine degli anni ‘80, la società è cambiata velocemente. Anche nelle piccole cose.
Silvio, appena scarcerato, si lascia alle spalle la porta carraia del carcere e si reca verso il primo autobus. Cerca il controllore per fare il biglietto a bordo ma una signora, sbigottita, gli indica una macchinetta automatica per fare i biglietti che da tempo ormai ha sostituito il controllore.
Silvio capisce che deve reinserirsi nella società, un passo alla volta.
In carcere, però, ha dato vita ad un progetto. Ancora non sa che quell’idea farà scuola in Italia e non solo!
Prima di entrare in carcere, Silvio aveva lavorato nell’alta moda e nel settore della stampa di tessuti di grande pregio.
In carcere, mentre pensa a come potersi ricollocare sul mercato del lavoro una volta scontata la pena, ha un’idea.
È allora che, assieme ad alcuni compagni detenuti, dà vita all’associazione Made in Jail che produce t-shirt stampate in carcere con la tecnica della serigrafia, appresa prima della detenzione.
L’obiettivo è stimolare la società là fuori a riflettere sul carcere e sulle sue criticità con alcuni messaggi graffianti stampati sulle t-shirt.
(Made in Jail in uno dei suoi tanti banchetti… in oltre 35 anni di attività!)
È un successo clamoroso. Siamo negli anni ‘81, ‘82, ‘83. Alcuni quotidiani nazionali promuovono l’iniziativa.
Quando Silvio esce dal carcere, alla fine degli anni ‘80, inizia ad insegnare la tecnica di stampa serigrafica al carcere minorile di Casal del Marmo a Roma e poi nelle altre carceri romane e in tanti altri istituti di pena in Italia.
Tanti programmi televisivi, artisti, cantanti e personaggi noti parlano di Made in Jail e invitano Silvio a raccontare la sua storia: l’ex detenuto che senza mezzi economici ha realizzato un progetto concreto per la formazione professionale e il reinserimento sociale delle persone detenute.
Eppure – nonostante gli oltre 35 anni di attività nelle “patrie galere” – Silvio racconta sempre che le condizioni di vita nelle carceri italiane sono sempre le stesse, se non addirittura peggiori in molti casi!
Il carcere rimane sempre lo stesso, sembra non riuscire a cambiare. Certamente il mandato della legge prevede che sia un luogo di punizione ma al contempo anche di recupero, cosa che spesso è tradita.
Per quanto riguarda la popolazione detenuta – a parte una piccola percentuale di delinquenti e criminali incalliti – purtroppo in carcere continuano a finirci nella maggior parte dei casi i poveri, gli ultimi, i tossicodipendenti, i malati psichiatrici, ecc.
Anni fa, quando ho iniziato a conoscere questo mondo parallelo e nascosto, ho scoperto tante cose che mi hanno interrogato profondamente.
Sono titolare di una società di comunicazione che si chiama Numidio, creata assieme a due miei cari amici, Flavio Crinelli e Gianluca Calabria. Con loro siamo anche volontari dell’associazione Made in Jail.
L’amicizia e la stima che noi tre abbiamo nei confronti di Silvio ci ha spinto a realizzare un film documentario ed una campagna di comunicazione sulla storia di Silvio, di Made in Jail e sulla possibilità di un carcere diverso…
Abbiamo raccontato il carcere “da dentro” e non solo, con un lungo lavoro di ricerca e di riprese durato oltre 3 anni, con grande impegno e dedizione.
(Silvio durante uno dei suoi corsi in carcere a Roma)
Adesso posso farti una confessione. Sai cosa mi spaventa di più a proposito del dibattito sui gatti in carcere?
Parlare di gattini in carcere è molto importante perché è un primo passo che almeno ci fa riflettere su un’alternativa possibile di riabilitazione e di recupero sociale.
Però, al contempo, è anche insidioso perché si corre il rischio di “mettere i fiori alle celle” e quindi di fermarsi ad abbellire un grave problema piuttosto che andare alla radice e trovare forme concrete di recupero sociale.
Purtroppo in Italia il carcere oggi è “un orologio senza lancette” – come dice Silvio – dove si passa il tempo a perderlo.
Eppure se guardi dentro l’abisso del carcere puoi scoprire tesori e crude verità che ti cambiano la vita perché ti avvicinano all’essenza.
Assieme a Flavio e a Gianluca, vorrei accompagnarti dentro questo mondo – proprio come ha fatto Silvio con noi – un mondo dove spesso releghiamo quelli che chiamiamo “i mostri”.
(“Io ti salverò, io ti cambierò, io ti salverò, io ti cambierò”)
Quando vedrai il film documentario scoprirai che conoscere il carcere ti cambia la vita perché ti aiuta a rispondere alle domande che toccano corde profonde sul senso che ognuno di noi dà alla propria esistenza!
Il film documentario ha un taglio brillante e molto emozionante ma è “privo di retorica, ti emoziona andando dritto al punto”, come ha sottolineato Cecilia Casorati, Direttrice dell’Accademia di Belle Arti di Roma.
Nell’ultimo anno abbiamo testato il film documentario con proiezioni riservate ed abbiamo raccolto un grandissimo gradimento da parte di centinaia di persone in tutta Italia, questo ci ha commosso: insegnanti, studenti, appassionati di cinema, associazioni, istituzioni, accademie d’arte, gruppi parrocchiali, ecc.
Questo progetto sta conquistando tanta attenzione ma adesso è nelle tue mani!
Ora hai tu il potere concreto di sostenere il film: se puoi, aiutaci.
Acquistalo e promuovilo tra i tuoi amici.
Grazie per il tuo prezioso supporto, anche a nome di Flavio e di Gianluca.
Matteo Morittu
(Titolare di Numidio e volontario dell’associazione Made in Jail)
Numidio Srls – P.IVA 14445001002 – film@numidio.com